Rivolta di Palermo
Tra Cinque e Seicento Palermo rinunciò ai suoi privilegi di autogoverno per ospitare la corte del viceré spagnolo e imporre sulla rivale Messina il proprio ruolo di capitale dell’Isola. I rapporti con Madrid, tuttavia, non furono sempre tranquilli. La rivolta, scoppiata nel 1647, ebbe per tema il cambiamento della politica fiscale e il rispetto delle prerogative del regno di Sicilia. Gli eventi palermitani vanno comunque inseriti nel quadro più ampio delle “rivoluzioni contemporanee” di metà Seicento, che coinvolsero i domini della monarchia spagnola (la Catalogna e il Portogallo dal 1640 e Napoli tra il 1647 e il 1648), la Francia (la Fronda, 1648-1653), l’Inghilterra (la prima rivoluzione inglese, 1640-1649), cui va aggiunta anche l’ultima fase della lunga lotta per l’indipendenza dalla Spagna delle Province Unite. Tali eventi si intrecciarono con la Guerra dei Trent’anni (1618-1648) e con i conflitti religiosi tra cattolici e protestanti, ma ebbero come denominatore comune la critica e l’opposizione violenta al sistema di governo straordinario e di guerra messo in pratica dai ministri del re nelle più importanti monarchie europee. A Palermo, la rivolta popolare prese corpo dopo la decisione del viceré spagnolo e dell’amministrazione civica di aumentare il prezzo del grano (che risentiva del cattivo raccolto del 1647). L’insurrezione fu domata nel 1649, grazie anche alla lealtà di gran parte della nobiltà siciliana e della città di Messina: il capitano generale del popolo fu ucciso e gli Spagnoli ripresero il controllo della città. La rivolta, tuttavia, non fu vana: contribuì a porre dei limiti allo strapotere dei nobili nel governo della città.