Piazza Marina e la partenza del viceré
Superato l’Ottangolo, il cammino riprende lungo il CassaroLa strada è il frutto di fatiche decennali. Viene iniziata, proprio al lato opposto da quello dello sbarco del nostro viceré, dove sorgono il Palazzo reale e la Cattedrale, nel 1567. Si prosegue a tappe, con una certa lentezza, perché si tratta di demolire gran parte delle costruzioni che sorgono sulla direttrice. I lavori si concludono solo nei primi anni Ottanta del Cinquecento. fino alla piazza Marina, un ampio slargo oggi occupato dal verde di Villa Garibaldi. Qui, quale che sia l’avvenimento da festeggiare, un matrimonio reale, o la nascita di un erede al trono, o la nomina di nuovi magistrati cittadini, si svolge lo spettacolo più amato dai palermitani di età barocca, la giostra cavalleresca. Esercizio di chiara origine medievale, importato probabilmente dagli Angioini, svago esclusivo della nobiltà, la giostra cavalleresca attrae sempre un enorme pubblico, che si stipa sopra gli spalti innalzati per l’occasione per ammirare i volteggi dei titolati e per assistere alla premiazione dei più bravi e dei più eleganti. Gli spettatori sono entusiasti non solo dell’abilità dei concorrenti e della loro destrezza nell’esercizio fisico. Spesso, durante gli scontri, i cavalieri rappresentano avvenimenti storici o mitici, episodi di letteratura cavalleresca, tratti dai versi di Boiardo o di Ariosto.
Così, oggi, dal vicino palazzo di Aiutamjcristo (foto), dal 1567 sede dell’Accademia dei cavalieri, avanzano i concorrenti. Per assicurare successo alle giostre, nel 1566, sotto il patrocinio del viceré García de Toledo, viene fondata la Congregazione dei cavalieri d’armi, un’accademia cavalleresca che sostituisce ufficialmente le scuole di scherma, nate in precedenza in maniera spontanea a Palermo per l’educazione dei nobili. La Congregazione dei cavalieri d’armi, teoricamente, ha fini bellici, in realtà l’accademia educa i suoi membri non solamente all’uso delle armi, ma anche alle maniere cortigiane. La Congregazione dei cavalieri d’armi diviene, così, molto presto non solo responsabile del successo dei giochi cavallereschi promossi dal viceré e dalle autorità cittadine, ma a sua volta promotrice di feste, cavalcate e giostre sontuose. Un torneo però non è solo un’occasione di svago.
In occasione di una giostra cavalleresca, il viceré di Sicilia – generalmente chiamato a giudicare fra i concorrenti – può esprimere un discorso politico complesso, premiando almeno cinque cavalieri, come sottolinea uno dei teorici dell’arte cavalleresca in Sicilia, Antonio Anzalone, autore nel 1629 del trattato Il cavaliere. Il viceré deve premiare non solo «quel Cavaliere, che romperà più lance, e farà il meglio nell’incontrare», ossia il miglior cavaliere dal punto di vista atletico, ma anche colui che «prima di tutti comparirà in campo», il «più galante di persona e di cavallo», il protagonista del combattimento più spettacolare, il «cavaliere che porterà nel cimiero più bella e nuova invenzione» (immagine), l’impresa più elegante e curiosa. Gli spettatori ammirano particolarmente i copricapi originali, come narra lo scrittore palermitano Vincenzo Auria:
«Oltre il lustro di quest’armi, entra in gran parte la bellezza del Cimiero, che spogliando di pretiose penne i più singolari augelli, hor del Pavone, dello Struzzo del Cigno, ed altri; anzi togliendo al mare le perle, i coralli, ne forma una grande, e maestosa Cresta, e spesso al costume più moderno nel quale è cresciuta la pompa, e la ricchezza, s’intrecciano in varie, e dilettose maniere d’inventioni, che s’alzano in certe quasi dissi capricciose, e superbe machine, che si drizzano, e sollevano in aria» (V. Auria, La giostra. Discorso historico del dottor D. Vincenzo Auria Palermitano sopra l’Origine della Giostra in varie parti dell’Europa, e della sua Introduttione, ed uso antico, e moderno nella Felice, e Fedelissima Città di Palermo, Reggia di Sicilia, fino a quest’Anno presente MDCLXXXX, Palermo, 1690).
Piazza Marina diventa un variopinto campo di battaglia. E la festa si trasforma autenticamente in occasione politica: il popolo viene affascinato dallo splendore dell’intrattenimento, i nobili cavalieri guadagnano nella competizione quei premi che ne smusseranno eventuali spigoli in altre sedi, segnatamente durante le sessioni parlamentari o quando il viceré prenderà provvedimenti particolarmente problematici per il quieto vivere palermitano. A notte inoltrata in molti torneranno a casa soddisfatti.
Da piazza Marina il molo è poco lontano. È qui che i viceré sbarcano, ed è da qui che si imbarcano, spesso alle prime luci dell’alba, spesso senza alcuna cerimonia, quando sono in partenza da Palermo. In ogni caso non si tratta di figure amate; e spesso, nel silenzio della nobiltà locale, hanno utilizzato il tempo del loro mandato di governo per arricchirsi con le speculazioni sul grano che la Sicilia produce. Così lasciano l’isola nella solitudine più grande, mentre navi cariche di argento e monete li aspettano per salpare: non è un caso che un viceré del tardo Seicento, Francesco Caetani duca di Sermoneta, fosse più noto a Palermo con il soprannome di “duca di far moneta”. Ma le maestranze sono già all’opera per costruire nuovi apparati di legno, stucco e cartapesta per festeggiare il nuovo viceré la cui capitana si sta già avvicinando alla costa.