Giacomo Montanari, Il trionfo barocco del mercante genovese
1693. Francesco Maria Balbi II sposa la giovane Clarice Durazzo. Il nonno del giovane Balbi, Francesco Maria I, è un uomo dalle eccezionali e proteiformi caratteristiche: monopolista del mercurio, commerciante senza scrupoli, asientista, spregiudicato imprenditore, è d’altro canto uno straordinario committente e collezionista di opere d’arte. Sulle pareti della sua dimora genovese passano le tele e le tavole di Caravaggio, Guercino e Guido Reni, mentre nei grandi spazi dei suoi soffitti si affollano le figure e i trionfi barocchi dei più giovani e promettenti artisti del Seicento ligustico: Valerio Castello, Domenico Piola e Gregorio de Ferrari. Tuttavia, sebbene il piano nobile della sua dimora sia già strabordante di ricchezze artistiche senza pari, il Balbi ha in mente per il nipote novello sposo un dono senza pari e che deriva forse dall’emulazione di fasti romani di circa un secolo prima: nell’ala del Palazzo dove la giovane coppia andrà ad abitare egli chiama Gregorio de Ferrari ad affrescare una straordinaria Galleria degli Amori degli Dei. È il trionfo della pittura di fine Seicento, l’esaltazione della libertà compositiva e spaziale, dove i corpi delle figure misurano lo spazio slanciandosi al di sopra e al di sotto della voluminosa cornice che fa da tramite tra lo spazio reale e quello illusionisticamente creato dall’artista. Abbandonata ogni composizione architettonica prospetticamente realizzata, il De Ferrari plasma lo spazio attraverso le volumetrie di orgogliosi trompe l’oeil che fingono sculture, stucchi dorati e decorazioni di ogni tipo, che si intersecano, in una commistione quasi inscindibile ad un primo sguardo, al sapiente uso dello stucco, utilizzato per materializzare nello spazio tridimensionale la bidimensionale finzione della pittura dell’artista. È così che Tisbe fa pendere sulle nostre teste il suo manto, mentre a fianco a lei un Piramo disperato per l’amore che teme d’aver perduto si squarcia il petto con il ferro: a tutto questo sovrintende la potente figura di Paride che rapisce la bella Elena, circonfusa da un manto scarlatto che un vento barocco fa garrire alle sue spalle. Il motto, messo in evidenza al di sopra e al di sotto delle due figure di testa della galleria, recita il precipuo concetto del sentimento d’amore: UTRINQUE TRIUMPHUS AMORIS: ET RAPIT ET RAPITUR. Rapitore e rapito, nel caso di Paride ed Elena, traditore e tradito, per quanto riguarda Marte scoperto da Efesto a giacere con Venere, la bella moglie di lui. Le storie si susseguono come nei frames di una pellicola, disposte senza soluzione di continuità sulla “magica” cornice che divide il mondo sensibile dalla mitologica realtà abitata dagli Dei, di cui, forse, Francesco Maria Balbi I avrebbe desiderato che il nipote facesse parte, anche se soltanto simbolicamente.