L’ingresso in città: il Cassaro e Porta Felice
Generalmente l’ingresso del viceré avviene dal mare. Tutta la popolazione si raduna sullo specchio di mare dove attracca la galera capitana. Per l’occasione viene costruito un ponte che colleghi la terraferma alla nave, dove si schierano le principali magistrature urbane e la nobiltà siciliana, anche se la cosa non è esattamente priva di pericoli. Come racconta il cronista Vincenzo Di Giovanni, alla fine del Cinquecento, «essendo per sbarcare [il viceré], con grande allegrezza e plauso sonandosi da ogni parte trombe e tamburi, e sparando l’arteglieria, ecco l’allegrezza convertirsi in lutto; ché cadde il ponte, e tutti i signori e magistrati si videro in un tratto guizzar nell’acque» (V. Di Giovanni, Palermo restaurato, a cura di M. Giorgianni e A. Santamaura, con una nota di S. Pedone, Palermo, Sellerio, 1989, p. 336). Il nostro viceré, però, oggi non corre tale pericolo. È felicemente disceso dalla nave e la città gli si offre in tutto il suo splendore. Per giungere alla cattedrale, dove si svolgerà la cerimonia della presa di possesso, dovrà attraversarla interamente. Il compito è reso più agevole dal fatto che, nel corso del Cinquecento, è stata tracciata una lunga via rettilinea che collega la cattedrale e il vicino palazzo regio al mare: il CassaroLa strada è il frutto di fatiche decennali. Viene iniziata, proprio al lato opposto da quello dello sbarco del nostro viceré, dove sorgono il Palazzo reale e la Cattedrale, nel 1567. Si prosegue a tappe, con una certa lentezza, perché si tratta di demolire gran parte delle costruzioni che sorgono sulla direttrice. I lavori si concludono solo nei primi anni Ottanta del Cinquecento..
All’ingresso della strada, un superbo arco trionfale saluta il viceré; si tratta di un’architettura effimera, commissionata dal Senato di Palermo, la più alta autorità cittadina, a poeti e scrittori locali che si avvalgono dell’opera delle maestranze cittadine: decoratori, carpentieri, pittori, tappezzieri e così via. Vi sono intere famiglie artigiane, come quelle degli Amato o dei Palma, specializzate nella realizzazione di manufatti cerimoniali. L’articolata struttura decorativa ospita musicisti e attori, che declamano versi composti per l’occasione. Non si tratta della reiterazione di epiteti elogiativi nei confronti del nuovo venuto. Malgrado la lontananza, a Palermo si conoscono perfettamente gli equilibri politici madrileni, si sa in virtù di quali spinte è stato nominato il viceré, a chi e a che cosa deve il titolo e il potere che si appresta ad esercitare. Nei testi che vengono recitati, pertanto, possono facilmente trasparire le aspettative politiche dei siciliani, i loro timori e i loro “avvertimenti”. Tali testi, generalmente stampati, costituiscono un autentico genere letterario e sono ancora disponibili, per i lettori curiosi, in varie librerie siciliane.
Eredità visibile ai più, ricordo di queste complesse installazioni urbane, è oggi, all’estremità di Via Vittorio Emanuele – nuovo nome del Cassaro – la Porta Felice (foto). Il nome è frutto di una “felice” coincidenza: Felice, Felice Orsini, si chiama la moglie del viceré Marco Antonio Colonna, che commissiona la porta negli anni Ottanta del Cinquecento; “felice” è l’epiteto con il quale tradizionalmente viene apostrofata la città di Palermo. Per molto tempo della porta non sono innalzati che i basamenti, che tuttavia si prestano magnificamente a sostenere le complesse architetture effimere ideate in occasione di cerimonie pubbliche. Solo ai primi del Seicento, i lavori vengono ripresi sotto la direzione dell’architetto Mariano SmiriglioArchitetto, pittore e decoratore palermitano, Mariano Smiriglio (1561-1636) è stato uno dei principali esponenti dell’arte siciliana nella prima metà del Seicento., che la licenzia nel 1637.
Varcata la soglia, ecco disegnarsi il rettilineo che il viceré deve percorrere, e al cui termine si intravvede nell’incisione la Porta Nuova, di cui avremo fra poco occasione di parlare.