Manuel Matassa, Il Barocco leccese e la Basilica di Santa Croce
Il termine “Barocco leccese” sta ad evidenziare una forma artistica e architettonica sviluppatasi tra la fine del XVI secolo e la prima metà del XVIII secolo in modo particolare a Lecce e nel resto del Salento. Essa è riconoscibile per le sue sgargianti decorazioni che caratterizzano i rivestimenti degli edifici. Lo stile si diffuse nel Salento dalla metà del Seicento grazie all’opera di architetti locali come Giuseppe Zimbalo (1617-1710) e Giuseppe Cino (1644-1722). Essa si attestò in tutta la provincia, favorita, oltre che dal contesto storico, anche dalla qualità della pietra locale impiegata; la pietra leccese, un calcare tenero e compatto dai toni caldi e dorati adatto alla lavorazione con lo scalpellino..
Questa corrente artistica, esplose nelle sue caratteristiche più rilevanti tuttavia solo nella seconda metà del XVII secolo e perdurò per buona parte del XVIII. Un periodo di tempo lungo più di un secolo nel corso del quale Lecce vive un periodo aureo sotto il profilo artistico, che le conferisce l’aspetto urbano e la veste architettonica che oggi si ammira nel suo quasi intatto centro storico. Una valentissima schiera di capomastri, scalpellini, scultori, intarsiatori, doratori, spesso non privi di autentiche capacità artistiche, coopera con gli architetti nel creare i caratteri stilistici di quel particolare Barocco che coinvolge anche le arti minori e l’intero arredo urbano. Gli elementi plastici, nell’accostare elementi vegetali, animali, mitologici e sacri, si rifanno a una tradizione medioevale, ora però pervasa da un quasi frenetico vitalismo. Le complesse decorazioni delle facciate delle chiese leccesi, composte da cornici, trabeazioni, cariatidi, trofei di frutta e fiori, restano uno scenografico apparato di superficie, che ammanta gli edifici senza modificarne a fondo le strutture.
La Basilica di S. Croce, nel luogo e nell’aspetto che possiamo ammirare oggi, risale al 1548, ma la sua storia, insieme all’annesso Convento dei Padri Celestini è ben più articolata e complessa e costituisce, insieme a quest’ultimo, la più elevata manifestazione del Barocco leccese. La facciata è composta da sei colonne a fusto liscio che sostengono la trabeazione e suddividono la struttura in cinque aree. Il portale maggiore, costruito nel 1606, presenta coppie di colonne corinzie ed espone le insegne di Filippo III di Spagna, di Maria d’Enghien e di Gualtieri VI di Brienne, mentre sulle porte laterali sono esposti gli stemmi della Puglia e della Congregazione dei Celestini. La trabeazione è sormontata da una successione di telamoni raffiguranti figure grottesche o animali fantastici e allegorici che sorreggono la balaustra, ornata di tredici putti abbracciati ai simboli del potere temporale (la corona) e spirituale (la tiara). Il secondo elemento di maggior pregio dell’ordine superiore è dominato dal grande e raffinato rosone barocco, di ispirazione romanica, tra i più pregevoli, raffinati ed eleganti che la storia dell’arte moderna possa ricordare. Il rosone, turbinio di foglie d’acanto e cerchi decorati finemente, è incorniciato da due colonne corinzie e affiancato da nicchie con le statue di San Benedetto e San Celestino, solo la sua presenza valorizza e esalta l’interno organismo architettonico, innalzandosi a simbolo del Barocco di Lecce. Profilato da foglie di alloro e bacche presenta tre ordini a bassorilievo, il rosone è ben evidenziato da due colonne corinzie, che separano la zona centrale da quelle laterali in cui sono delle nicchie con le statue di san Benedetto e Papa Celestino V. Nel complesso, le trionfali decorazioni del frontale di Santa Croce sono l’interpretazione figurativa mai banale e scontata di elementi simbolici ben precisi come fiamme, leoni, pellicani, melograni, che si combinano in un disegno morbido e lieve capace di accostare senza sforzo immagini pagane e cristiane, alternate a fiori, festoni, animali, angeli, insegne, stemmi e le sfere con la croce.
L’assetto interno originario della chiesa oggi risulta poco visibile a causa della aggiunta delle cappelle, avvenuta nel Settecento. L’interno, a croce latina, era originariamente ripartito in cinque navate, due delle quali furono successivamente riassorbite in cappelle laterali aggiunte nel XVIII secolo. Le volte delle navate sono sorrette da due ordini di colonne, in tutto diciotto, le prime due sono addossate alla parete esterna, le ultime quattro binate delimitano il transetto e l’arco trionfale. Nel presbiterio, spogliato nel corso dei secoli del coro ligneo e dell’originario altare maggiore, si può ammirare l’abside polilobata e costolonata. Le pareti absidali sono decorate dai dipinti dell’Adorazione dei pastori, dell’Annunciazione, della Visita di Maria a sant’Elisabetta e de Il riposo nella fuga in Egitto. Lungo le navate si aprono sette profonde cappelle per lato, al cui interno si trovano splendidi altari riccamente decorati. Complessivamente la chiesa accoglie sedici altari barocchi.
Il progressivo evolversi della concezione artistica attraverso le forme scultoree del Barocco indica un percorso artistico più libero, dove si alternano una visione in superficie a una visione in profondità, scolpita nella tenera pietra tufacea. Forme chiuse e forme aperte, dettagli e accostamenti simbolici che s’impongono alla vista, ora con chiarezza assoluta, ora con chiarezza impressionistica, cui si aggiunge un turbinio d’invenzione formale in cui molteplicità e unicità si alternano a un ritmo attrattivo. Guardando sia l’esterno sia l’interno della Basilica si percepisce qualcosa di fondamentale dell’architettura barocca pugliese: l’aspirazione alla scultura e alla pittura, dove al risolversi di una ferma e salda forma plastica si contrappone un’immagine mossa e fluttuante, inafferrabile, che cancella i limiti dei contorni per suscitare dentro di noi l’impressione dello sconfinato, dell’immenso, dell’infinito, dove si alternano influssi continui tra soggetti rappresentati e oggetti funzionali a esso. Tutto tende ad abbandonare la superficie di fondo cui appartengono per tramite della profondità, esprimendo un dinamismo inquieto e forte, un’opposizione a ogni gesto veloce che ferma le immagini nello spazio. Ci si accorge, soffermandoci nei dettagli, che il mezzo principale che l’architettura e la scultura preferiscono seguire sono gli effetti di profondità spaziale attraverso l’uso dei primi piani. Figure portate avanti rispetto al fondo, vicine a chi guarda, in contrapposizione alla brusca riduzione prospettica degli elementi di fondo. Lo spazio acquista un’intrinseca mobilità in chi guarda, percependo la spazialità dell’architettura come forma di esistenza sua, propria, che dipende e che si è creata da sola. È l’inclinazione del pensiero barocco verso l’assoluto, la libertà, il racconto della forma aperta e strutturalmente irrazionale dove la composizione architettonica è concepita conclusa in una realtà in sé definita, in cui tutti gli elementi sono concatenati richiamandosi l’un l’altro senza eccesso o difetto in un insieme unico, ma al tempo stesso incompiuto e sconnesso, spingendoci a immaginare che possono proseguire in ogni senso e sempre rinviano a qualcos’altro, oltre.