Sara Cavatorti, “Il predicatore disse ch’in Spagna vi erano molti crucifissi fatti in questo modo”. Influssi spagnoli e memorie tedesche nell’opera degli scultori francescani del XVII secolo: frate Angelo da Mesoraca e la cappella Vici a Montesanto di Todi
Nella terra di san Francesco, il primo vero promotore del culto del Cristo sofferente, il noto Crocifisso ligneo della chiesa di San Damiano, realizzato da frate Innocenzo da Petralia Soprana (Palermo) nel 1636, apparve un’immagine problematica da sottoporre al giudizio del Sant’Uffizio. Stessa sorte subì due anni dopo la scultura, anch’essa opera del frate siciliano, della cappella della famiglia Mosca in San Giovanni Battista a Pesaro in riferimento alla quale l’inquisitore di Rimini, frate Agostino da Correggio, inviò a Roma una relazione datata 27 marzo 1638 ricca di interviste, testimonianze e documenti tra cui un disegno dell’intaglio realizzato dallo stesso Innocenzo. Da queste fonti emergono anche i riferimenti culturali entro cui collocare l’attività dello scultore francescano ma anche quella di altri numerosi suoi colleghi come il conterraneo frate Umile, frate Diego da Careri (Reggio Calabria) e frate Angelo da Pietrafitta (Cosenza). Accomunati dalle origini meridionali e, dunque, da una certa familiarità con i moduli espressivi e drammatici della statuaria iberica esemplati nel Crocifisso del retablo della Mejorada a Olmedo di Alonso Berruguete (1523-1526) oppure nelle patetiche e iperrealiste visioni di Cristo di Gregorio Fernández, Juan Martínez Montañés e Pedro de Mena, questi scultori francescani, sulla falsariga delle Revelationes di Santa Brigida di Svezia (1302-1373), coniarono un’iconografia fortemente cruenta che fece sospettare, al di là degli episodi di fanatismo religioso, per questioni di ortodossia. Nella lettera dell’inquisitore si legge infatti che nella sacra immagine appaiono, oltre le cinque piaghe, altre numerose e strane ferite “che gettano sangue in abbondanza” tra cui “anco sotto l’ombelico un’altra squarciatura, et nelle ginocchia, nelle braccia, nelle mani, e nelle gambe, molte lividure et legature” ma un’attenuante sembra essere fornita dal fatto che “il predicatore [durante la prima ostensione del manufatto] disse ch’in Spagna vi erano molti crucifissi fatti in questo modo” (A. Cifres, Fra Innocenzo da Petralia, reo dell’Inquisizione: fra critica d’arte e censura teologica, in “Frate Francesco”, LXXIX, 2013, 1, pp. 97-137, speciatim pp. 111-112).
Nella cifra stilistica di questi Crocifissi è possibile tuttavia rintracciare anche altre ascendenze. Sicuramente un riferimento all’attività di Antonello Gagini e alla sua bottega – si veda ad esempio il Cristo della chiesa di San Francesco a Ciminna (Palermo) eseguito in mistura su un modello di Antonello da Leonardo da Ventimiglia nel 1521 – ma anche forti richiami alla produzione scultorea delle numerose maestranze tedesche sparse in tutta la Penisola che nel corso del XV secolo riuscirono a far apprezzare il proprio linguaggio crudo e realistico, soprattutto negli ambienti francescani dell’Italia centrale. La produzione di frate Innocenzo, in termini di fortuna e diffusione geografica, sembra infatti rievocare quella di un intagliatore tedesco noto con il nome di Giovanni Teutonico, attivo tra Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio durante tutta la seconda metà del Quattrocento (E. Lunghi, La Passione degli Umbri: crocifissi di legno in Valle Umbra tra Medioevo e Rinascimento, Foligno 2000, pp. 147-171; A. Marchi, Il caso “Johannes Teutonichus”. Lo stato degli studi e raccolta dei materiali, in Nuovi contributi alla cultura lignea marchigiana, atti della giornata di studio, Matelica 20 novembre 1999, a cura di M. Giannatiempo López – A. Iacobini, Sant’Angelo in Vado 2002, pp. 73-87; C. Sapori in Arte e territorio: interventi di restauro, 4, a cura di A. Ciccarelli, Terni 2009, pp. 439-448, cat. 31).
La resa anatomica esile e stirata degli arti, la prominenza delle costole e dello sterno, l’articolazione della barba in ampie volute spiraliformi e dei capelli in abbondanti ciocche arrotolate, la fisiognomica drammaticamente realistica e l’utilizzo di espedienti tecnici volti ad esaltare il patetismo dell’immagine, come l’utilizzo di cordini di canapa per sottolineare il reticolo venoso, sono spie di un’attenta osservazione da parte del frate delle opere del maestro tedesco che inevitabilmente dovette ammirare nel corso della sua itinerante carriera religiosa (Assisi, Gubbio, Loreto, Pesaro, Cagli, Ascoli Piceno, Roma, cfr. G.M. Fachechi, Frate Innocenzo da Petralia Soprana, scultore siciliano itinerante fra Roma, Umbria e Marche, in L’arte del legno tra Umbria e Marche dal manierismo al rococò, atti del convegno, Foligno 2-3 giugno 2000, a cura di C. Galassi, Perugia 2001, pp. 135-142). È possibile anche che lo stesso Innocenzo abbia rimaneggiato alcuni di questi intagli come potrebbe dimostrare il Crocifisso della chiesa di San Martino a Trevi il cui asciutto modellato è stato arricchito, mediante stucco policromo, con corposi fiotti di sangue zampillanti da tumefatte e livide ferite che appaiono in numero superiore rispetto alle ortodosse cinque piaghe, proprio come in toni di polemica veniva notato per il Cristo pesarese sopra menzionato.
Tuttavia frate Innocenzo non è una figura isolata nel panorama della scultura lignea del Barocco umbro: un altro intagliatore di origini meridionali, menzionato dalle fonti e portato all’attenzione da Domenico Neri nel suo fondamentale studio sugli scultori francescani del XVII secolo (D. Neri, Scultori francescani del Seicento in Italia, Pistoia 1952, p. 189), è frate Angelo da Mesoraca (Crotone), che merita di essere riabilitato non solo perché si conservano sue opere a Todi e Massa Martana, a mia conoscenza, ancora prive di attribuzione, ma in quanto testimonia ancora di più l’esistenza di un rapporto ravvicinato e privilegiato tra l’operato dei frati intagliatori e la lezione di Giovanni Teutonico. Nella chiesa tuderte di Santa Maria Assunta presso il convento francescano di Montesanto fin dal 1482 era conservato un Crocifisso ligneo di maestro Giovanni che dall’altare maggiore venne spostato nella cappella della nobile famiglia Vici “ma poi sopra venti lustri decorsi, ritrovandosi in questa Provincia un tal F. Angelo da Mensuraca Laico molto esemplare, e perfettissimo Religioso, mandatovi dal Superior Generale per fare un Crocifisso di legno nella Chiesa del nostro Convento di S. Pietro di Massa […] si portò in questo Convento di Monte Santo, dove […] determinò col consiglio de’ Superiori, col merito anzi della S. Ubbidienza di fare ancor quivi un Crocifisso […] colle sue nuove statue pur di legno di Maria, e Giovanni” (Antonio da Orvieto, Cronologia della provincia serafica riformata dell’Umbria, o d’Assisi, Perugia 1717, p. 261) che è quello ancora oggi presente nell’edificio sacro, racchiuso entro un ricco ed elegante altare barocco decorato a partire dal 1612 con stucchi di Cristoforo e Gregorio Grimani, affreschi di Cesare Sermei e due tele di Andrea Polinori e Pietro Paolo Sensini, in sostituzione dell’altro più antico oggi conservato nel locale museo comunale.
Il cronista Antonio da Orvieto ci tramanda anche la realizzazione nel 1710 da parte di frate Angelo di un Crocifisso per l’altare maggiore della chiesa di San Pietro a Massa Martana (Ivi, p. 366). Non è possibile rintracciare questa opera nella sua collocazione originaria nella stessa località umbra, ma nella chiesa di San Felice si conserva un intaglio iconograficamente e stilisticamente affine a quello di Todi che permette di delineare un primo piccolo corpus di opere del maestro calabrese da cui partire per indagare la sua attività scultorea.
Didascalie:
1. Giovanni Teutonico, Crocifisso, part., già Spello, San Girolamo.
2. Frate Innocenzo da Petralia Soprana, Crocifisso, part., Assisi, San Damiano.
3. Giovanni Teutonico, Crocifisso, part., Foligno, Santa Lucia.
4. Altare Vici, Todi, Santa Maria Assunta presso il convento di Montesanto.