Stefano Boero, S. Filippo Neri all’Aquila
Sul piano artistico, la chiesa di S. Filippo Neri – edificata tra il 1637 e il 1660 dai padri della Congregazione dell’Oratorio – può essere considerata come uno dei luoghi più rappresentativi del Barocco all’Aquila. L’edificio, incamerato nel 1862 tra i beni del Comune dell’Aquila per effetto delle soppressioni post-risorgimentali, era stato adibito a teatro, a seguito di un intervento di restauro effettuato tra il 1970 e il 1972, compromesso in tempi recenti dagli effetti del sisma del 6 aprile 2009.
Nella chiesa di S. Filippo si possono tuttora individuare caratteristiche riscontrabili in altre chiese oratoriane, come la navata unica, la pianta a croce latina e il transetto contratto e poco sporgente. La pianta a croce latina, di cui l’oratoriano Cesare Baronio era sostenitore, era utilizzata in contrapposizione ai modelli «centralizzanti e paganeggianti» dell’Umanesimo e del Neoplatonismo rinascimentale, per assicurare un più chiaro rapporto tra i fedeli e l’altare, nonché una migliore acustica.
Nel cantiere di S. Filippo furono attivi numerosi artisti, che introdussero all’Aquila elementi architettonici mutuati dal linguaggio artistico del Barocco romano. Tra questi figurava Lazzaro Baldi, allievo di Pietro da Cortona, autore di due tele nelle cappelle dei Magi e della Natività. La cappella dell’Assunta fu invece decorata da Giacinto Brandi, discepolo di Giovanni Lanfranco; due tele di Giacinto Brandi per S. Filippo – rispettivamente il Transito della Vergine e la Nascita della Vergine – sono attualmente custodite presso il Museo Nazionale d’Abruzzo.
Importante fu poi la presenza del pittore Giacomo Farelli – curiosamente governatore dell’Aquila tra il 1676 al 1683 – che nella cappella della Visitazione realizzava un ciclo di scene riguardanti la vita di Cristo. Tali dipinti raffiguravano il Battesimo di Cristo, la Fuga in Egitto e Dio Padre e i cherubini, e in essi, prima del sisma del 6 aprile 2009, risultava ancora leggibile la firma del pittore. I cicli realizzati da Giacomo Farelli a S. Filippo presentano una continuità artistica e figurativa con gli affreschi realizzati nel duomo di Napoli per la sacrestia della cappella del Tesoro di S. Gennaro. A S. Filippo Farelli realizzò figure muscolose, contorte, in pose artificiose, che sembravano anticipare quel «neo-michelangiolismo» che più tardi si sarebbe manifestato negli affreschi del Palazzo Comunale di Pisa.
Con la costruzione della chiesa di S. Filippo, e più tardi del convento e dell’oratorio dei laici, i Filippini dettero vita a una «ridefinizione spaziale» di quell’area della città, occupata fino allora da botteghe, fondaci e abitazioni. Tali scelte insediative risentirono del dibattito, in pieno svolgimento durante la metà del Seicento presso i circoli artistici internazionali, su quale dovesse essere il modello del complesso dei Filippini costituito da chiesa, convento e oratorio dei laici. Di questo problema si erano occupati diversi architetti, tra cui Francesco Borromini e Pietro da Cortona, nel tentativo di dare vita a tre edifici collegati tra loro e al tempo stesso distinti in virtù della diversa connotazione architettonica.
Tra le pareti di S. Filippo, intorno alla seconda metà del Seicento, si intrecciavano al contempo storie di uomini che hanno segnato la spiritualità cittadina, reti di relazioni complesse che sono state oggetto di attenzione da parte del S. Uffizio. L’esperienza culturale e spirituale che andava maturando nell’Oratorio aquilano era spia di un mondo che stava prendendo corpo nel cuore della penisola, legato proprio agli oratoriani e alla loro intensa attività culturale.
BIBLIOGRAFIA
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