Cibi vecchi e nuovi
Oltre al grano, altri prodotti caratterizzavano, seppur in misura inferiore, la dieta delle popolazioni europee in età barocca. La patata, importata dalle Americhe, rimase a lungo un alimento destinato unicamente al nutrimento degli animali, e solo nel XIX secolo divenne ingrediente fondamentale della cucina europea. Il riso, conosciuto sin dal Medioevo, venne prodotto in grande quantità nella pianura del Po dalla fine del XV secolo, mentre al secolo successivo risalgono l’introduzione del grano saraceno, proveniente dal nord-est d’Europa, e del mais. Il grano saraceno, consumato sotto forma di farinate, pappe, crespelle o polenta, non poteva essere utilizzato per fare il pane, ma aveva il vantaggio di crescere anche su terreni assai poveri e di poter essere mischiato ad altri tipi di frumento nelle rotazioni triennali. Il mais invece venne importato in Europa da Cristoforo Colombo nel 1493 ed in breve fu adottato nel vecchio Continente, specie nell’area mediterranea. Era infatti coltivato in Castiglia, in Andalusia, in Catalogna, in Portogallo, nella Francia del sud e nel nord d’Italia, oltre che nella Penisola balcanica. La grande produttività del mais spinse molti proprietari ad aumentare l’estensione delle superfici destinate alla sua coltivazione nel corso del XVIII secolo, causando in tal modo anche la diffusione di epidemie di pellagra: la carenza di vitamina PP nel mais era infatti all’origine di questa malattia mortale che avrebbe funestato a più riprese l’Europa fino al XX secolo.
Come nel caso della patata, anche il pomodoro, importato dalle Americhe, si impose sulle tavole europee solo a partire dal XVIII-XIX secolo. Più rapida fortuna ebbe invece il peperoncino, che ebbe un immediato successo sia in Spagna che nell’Italia meridionale, e quel particolare tipo di volatile che Hernán Cortés scoprì in Messico attorno al 1520 e fece importare subito dopo in Europa. Il tacchino, o “pollo d’india”, entrò immediatamente e stabilmente nei menu dell’altà società europea, che apprezzava sia il gusto delle sue carni, sia il prezzo minore a cui veniva venduto rispetto agli altri grandi volatili largamente consumati nel periodo, come i cigni, i pavoni, i cormorani, le gru, le cicogne o gli aironi. Altri elementi fondamentali nell’alimentazione delle popolazioni europee erano la melanzana (già importata dall’Asia nel corso del Medioevo per mano degli Arabi) e i fagioli, mentre furono a lungo associati alle fasce più povere della popolazione alimenti come le rape, le castagne e le patate. Se il consumo e l’importazione del pepe conobbe una netta diminuzione nel corso dell’età moderna, grande fortuna ebbero invece alcune bevande importate dalle Americhe e dall’Oriente. In Spagna e nell’Italia spagnola, in particolare, ebbero grande successo il cioccolato (scoperto in Messico dagli Spagnoli e ben presto zuccherato, anziché insaporito con spezie piccanti come usavano fare gli Indios) e il caffè (che i Turchi introdussero in Europa dall’Etiopia e dallo Yemen, trovando negli italiani tra il XVI e il XVII secolo i suoi primi entusiastici consumatori). Nel nord Europa, e in particolare in Inghilterra, si impose invece il tè, la cui diffusione, assieme a quella del cioccolato e del caffè, comportò sia un deciso aumento della produzione e del consumo di zucchero, sia la creazione di grandi piantagioni di canna da zucchero nelle torre colonizzate dagli Europei (soprattutto in Brasile). Moltissimi schiavi neri, prelevati in Africa, costituirono la forza lavoro necessaria per soddisfare la domanda di zucchero proveniente dall’Europa. (immagine: Pieter Claesz, Banchetto con frutta ostriche e pasticcio di tacchino).