Caravaggio e Ribera nel viceregno di Napoli
Dai primi anni del Seicento Napoli assunse nell’Europa moderna un ruolo di tutto rilievo, come punto di incontro di diverse culture, oltre che come centro di diffusione di idee e fucina di sperimentazione artistica. Presso la congregazione del Pio Monte della Misericordia (oggi via dei Tribunali), si trova la tela con Le Sette opere di Misericordia (immagine 1), dipinta da Caravaggio tra il 1606 e il 1607. Le figure alludono alle sette opere di Misericordia corporale e sono tratte “dalla soffocante realtà d’ogni giorno dei vicoli stretti e bui della Napoli spagnola” (Nicola Spinosa). I potenti effetti di luce e di ombra, uniti alla ricerca del naturalismo, oltre che negli oggetti, anche nelle espressioni, contraddistinguono l’opera del lombardo e influenzano i napoletani attivi nei primi anni del nuovo secolo. Tra questi Battistello Caracciolo, autore per lo stesso Pio Monte della Misericordia della Liberazione di San Pietro, (1615), che nell’esibire un naturalismo disciplinato e colto, raggiunge esiti di grande naturalezza. Nel museo di Capodimonte, la Flagellazione, realizzata da Caravaggio nel 1607, in origine nella chiesa di San Domenico Maggiore, è un’opera che per i decisi contrasti chiaroscurali e il crudo realismo dovette impressionare i pittori locali e sancire l’affermazione della moderna pittura seicentesca. Probabilmente nello stesso anno l’artista eseguì per don Juan Pimentel y Herrera, suo unico committente spagnolo, la patetica e cruda Crocifissione di sant’Andrea (oggi Cleveland, Museum of Art), che venne presto trasferita nel palazzo del gentiluomo a Valladolid. Nella città partenopea Caravaggio eseguì anche la Negazione di Pietro (un tempo nella Certosa di San Martino, oggi New York, Metropolitan Museum) e il Martirio di sant’Orsola, considerato il suo ultimo dipinto (oggi Palazzo Zevallos). Si tratta di testi cardine in grado di orientare le tendenze della pittura successiva, conferendole vigore e omogeneità di stile.
Capodimonte ospita tele di pittori spagnoli che sono stati altrettanto determinanti per l’affermazione della scuola locale. Il primo è Jusepe de Ribera, detto “lo Spagnoletto”, che in città trascorse gran parte della sua vita, godendo della protezione dei viceré. Tra questi il duca di Osuna e il conte di Monterrey, che gli conferirono l’incarico di pittore ufficiale permettendogli di frequentare l’ambiente della corte. Nel Sileno ebbro di Capodimonte (immagine 2), capolavoro della prima maturità dell’artista (1626), i personaggi mostrano un approccio diretto con il reale, quasi al limite del grottesco. La scena è occupata dal pingue sileno, circondato da figure dalle espressioni caricate, ottenute con una pennellata pastosa e densa. Nonostante il crudo realismo, il tema del baccanale rimanda all’antico e alla cultura classica. Accanto a Ribera operò un altro spagnolo, il Maestro dell’Annuncio ai pastori, che prende il nome dal suo capolavoro conservato a Capodimonte (fig. 7). Sperimentando un naturalismo “radicale”, egli inserì nei suoi quadri pastori e contadini, bruciati dal sole e stanchi per il duro lavoro. Con pochi e semplici gesti questa umanità povera e lacera è in grado di trasmettere emozioni profonde e autentiche. La sua pittura, di grande integrità e sicuro impegno sociale, influenzò i giovani maestri della generazione successiva, come Francesco Fracanzano e Francesco Guarino.