I viaggi in Italia di Diego Velázquez
Nel 1629 il principale artista del Siglo de Oro, Diego Rodríguez de Silva y Velázquez, ottenne dal sovrano spagnolo Filippo IV i finanziamenti necessari a intraprendere il suo primo sospirato viaggio di studio in Italia, che rappresentò un’esperienza cardine per lo sviluppo del suo stile. Lo scopo era quello di “migliorare nella sua professione” e “fare un poco di vendemmia” di opere d’arte. Dopo aver fatto tappa a Genova, al seguito del nuovo governatore di Milano, Ambrogio Spinola, il pittore si fermò a Milano, Parma e Venezia, dove ammirò le opere di Tiziano e Tintoretto. Poi fu la volta di Ferrara, Cento, Loreto e Roma, dove giunse nell’ottobre del 1630 e si fermò un anno. Qui ebbe modo di studiare i bamboccianti, i pittori classicisti come Domenichino, Reni, Guercino e Poussin, i neoveneti come Pietro da Cortona e Bernini. Grazie all’amicizia con monsignor Giovanni Battista Pamphilj, già nunzio a Madrid, e con il conte di Monterrey, ambasciatore del Re Cattolico, potè visitare la Cappella Sistina, i Palazzi Vaticani e le raccolte private di pitture e marmi antichi. Nel 1630 eseguì la Fucina di Vulcano (Madrid, Prado, immagine 1), dove sintetizzò le esperienze assimilate negli stessi mesi, e la Rissa presso l’ambasciata di Spagna della collezione Pallavicini, quadretto riscoperto da Roberto Longhi. Nel 1631 si spostò a Napoli, dove conobbe il conterraneo Ribera, detto “lo Spagnoletto”. Rientrato in Spagna, gli vennero affidati nuovi incarichi a corte, dove riprese a pieno ritmo la sua attività di ritrattista ufficiale, mostrando di avere assimilato modelli importanti come Tiziano e Rubens, trattati con una luminosità più trasparente e maggiore dinamismo.
Negli anni, il pittore ottenne cariche sempre più prestigiose, fino a essere nominato soprintendente delle opere reali, quindi ispettore e amministratore. Nuove invidie e gelosie lo spinsero nell’ottobre del 1648 ad affrontare un secondo viaggio in Italia al seguito del duca di Maqueda y Nájera che si recava a Trento a ricevere Marianna d’Austria, futura sposa di Filippo IV. Lo scopo ufficiale di questo secondo viaggio era quello di acquistare dipinti e statue antiche per le collezioni reali, oltre a copiare celebri opere italiane e a rintracciare frescanti da impiegare per l’Alcázar (dopo il rifiuto di Pietro da Cortona, Velázquez riuscì a convincere i bolognesi Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli a seguirlo a Madrid). A Venezia, nel 1649, acquistò quadri di Veronese e Tintoretto, mentre a Roma, dove giunse nell’estate del 1649, venne accolto con grande favore dalla corte pontificia. Il nuovo papa filospagnolo, Innocenzo X Pamphilj, si fece ritrarre da lui l’anno successivo (Roma, Galleria Doria Pamphilj, immagine 2). L’effigie, che inaugurò la terza fase della carriera dell’artista sivigliano, catturò il carattere scontroso e diffidente del pontefice, che rimase colpito dalla brillantezza dell’impasto cromatico e gli donò una medaglia e una catena d’oro. Sempre a Roma, nel 1650, il pittore eseguì il ritratto del suo servitore Juan de Pareja (New York, Metropolitan Museum), tra le opere più apprezzate della sua produzione, che gli garantì l’ammissione alla prestigiosa Accademia di San Luca. Dopo una visita a Ribera a Napoli, Velazquez rientrò in Spagna nel 1651 portando con sé molti dipinti e ben trecento statue.