Francisco de Zurbarán e la natura morta italiana
Francisco de Zurbarán (1598-1664) appartiene alla generazione dei grandi maestri che lavorarono per re Filippo IV, fortunato protettore dell’età d’oro della pittura spagnola. Benché non esistano prove che Zurbarán abbia mai soggiornato in Italia, il suo stile rivela una profonda conoscenza dell’opera del Caravaggio e della cultura italiana. La lezione di realtà della pittura caravaggesca, con la sua verità di luci e ombre, viene acquisita dal pittore (che fu chiamato talvolta “il Caravaggio spagnolo”) e accostata a una certa vena classicista che prelude al pieno barocco, con il suo dinamismo e il trionfante ottimismo delle forme. Timido e riservato, Zurbarán si formò a Siviglia con Pedro Díaz de Villanueva e dedicò ai conventi spagnoli il meglio della sua produzione. Fervente ed efficace nella sua semplicità priva di artifici e straordinario nella capacità di riprodurre il vero in maniera diretta (si veda il sontuoso e “superbamente tangibile” Cristo Crocifisso di Chicago, 1627), Zurbarán fu uno tra i massimi pittori di nature morte di tutti i tempi. Le poche composizioni che egli realizzò esibiscono la prodigiosa maestria con cui riusciva a descrivere gli oggetti e i dettagli minuti. Mentre il toledano Juan Sánchez Cotán, capostipite della natura morta spagnola e autore anch’egli di prove straordinarie, non aveva avuto sentore dell’esperienza caravaggesca (si veda la Natura morta, 1602, Madrid, Museo del Prado), Zurbarán sembra quasi averne una conoscenza diretta. Caravaggio influenza potentemente il suo stile: lo spagnolo deve averlo assorbito attraverso l’opera di Ribera e Velázquez che lo studiarono in Italia, e forse grazie alle tele di artisti italiani in Spagna (come i quadri di Carlo Saraceni nella Cattedrale di Toledo). La straordinaria Natura morta con i cedri di Pasadena (1633, Norton Simon Museum, nell’immagine), “nella precisione cristallina del particolare” (Longhi) rivela la profonda ammirazione dell’artista spagnolo per quello lombardo, tanto da essere stata assimilata alla Canestra di frutta del Caravaggio conservata nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano. L’uso della luce e la lucida, quasi spietata descrizione dei dettagli è la stessa. La solennità della composizione e la “poesia silenziosa degli oggetti” (Tommaso Montanari 2012) di Zurbarán anticipano il nuovo e conducono direttamente all’esperienza di Giorgio Morandi. Dagli oggetti che sembrano dotati “di una prodigiosa e sottile intensità misteriosa” (Pérez Sánchez 1995), lo spagnolo trae “armonie quasi musicali” (Longhi): infatti egli riesce, in maniera geniale e al pari di Caravaggio, a nobilitare l’esperienza quotidiana, illuminandola con una luce magica che sublima la volgarità.