Piazza Bologni, la Cattedrale e il Palazzo Arcivescovile
Il viceré fa un’altra sosta a piazza Bologni, che si apre alla sinistra del CassaroLa strada è il frutto di fatiche decennali. Viene iniziata, proprio al lato opposto da quello dello sbarco del nostro viceré, dove sorgono il Palazzo reale e la Cattedrale, nel 1567. Si prosegue a tappe, con una certa lentezza, perché si tratta di demolire gran parte delle costruzioni che sorgono sulla direttrice. I lavori si concludono solo nei primi anni Ottanta del Cinquecento. e che prende il nome dalla famiglia di magistrati che vi abita, prima di arrivare alla cattedrale (foto 1). Impossibile annoverare la chiesa principale di Palermo fra le testimonianze barocche: all’esterno l’aspetto è indubbiamente medievale – seppur con qualche aiuto otto-novecentesco; all’interno, l’impianto decorativo è quello disegnato nel 1767 da Ferdinando FugaFerdinando Fuga (1699-1782) fu un anchitetto nativo di Firenze, ma attivo soprattutto a Roma (Palazzo della Consulta, chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte e facciata della Basilica di Santa Maria Maggiore, ecc.) e a Napoli (Real Albergo dei Poveri, facciata della chiesa dei Girolamini, ecc.). Con il passare degli anni, il suo stile slittò progressivamente dal Barocco al Neoclassico. Morì a Napoli prima di poter attuare il suo progetto di restauro della Cattedrale di Palermo.. Eppure la cattedrale è il luogo dove si celebra la più importante cerimonia politica barocca, la presa di possesso del comando viceregio, il giuramento di fedeltà alle leggi e alle consuetudini del Regno e la benedizione del viceré da parte dell’arcivescovo; per celebrare tale solennità non vengono lesinati gli addobbi all’esterno, mentre all’interno un rigido protocollo regola le posizioni degli astanti:
«Pigliata Sua Eccellenza l’acqua benedetta dataci Don Francesco Abisso Ciantro d’essa chiesa, intonato il Te Deum laudamus dall’istesso Ciantro si incominciò a sparare una gran quantità di folgore, e con sono di organi e musica si sequitò il Te Deum laudamus e doppo che detto Archivescono hebbe ricevuto Sua Eccellenza si caminò verso l’altare maggiore […]; arrivati all’altare Sua Eccellenza si ingenocchiò sopra un sgabello d’altezza d’un palmo sotto il quale era uno strato di brocato a fare oratione, e finito il Te Deum laudamus si alzò in piedi e si coprì, in questo fece dare dal suo Secretario la patente di Sua Maestà al Prothonotaro del Regno e doppo d’haverla letta ad alta voce si accostò a Sua Eccellenza il quale inginocchiatosi con ambidue li ginocchi, scoperto, posto le mani supra del libro dell’evangeli in mano del Prothonotaro suddetto giurò nella forma solita, et alzatosi in piedi, havendosi coperto se li fece innanzi il Pretore con il libro de privileggi della Città e Sua Eccellenza cossì coperto in piedi posta una mano supra quello giurò per l’osservanza di essi del modo che hanno giurato li suoi predecessori, e fatto il suddetto tornò di nuovo detta musica, e suoni d’organo con sparamento di folgori.»
Pronunciato il giuramento, sempre con un degno corteggio, il viceré esce dalla cattedrale e prosegue il suo cammino verso la sua residenza siciliana. Uscendo dalla cattedrale per raggiungere nuovamente il Cassaro, passa dinanzi al palazzo arcivescovile (foto 3). Anche in questo caso si tratta di un edificio quattrocentesco; eppure proprio nel corso del Seicento, sulla facciata del palazzo si aprono molteplici finestre decorate: segno fisico, tangibile di un potere ecclesiastico che vuole essere punto di riferimento nella vita politica del tempo e che non esita a porsi in competizione con quello viceregio, complice peraltro la diversa durata della dignità arcivescovile – spesso vitalizia – e della carica viceregia – solo raramente prolungata per due trienni.