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Francesca Ferrando, “Auspice Deo”. L’essenza barocca dell’Albergo dei Poveri

FerrandoSalendo lungo la mulattiera che da Piazza Bandiera ascende alle alture di Genova, la prima cosa che cattura lo sguardo dell’osservatore è la monumentale facciata dell’Albergo dei Poveri. Imponente edificio che copre quasi 20.000 mq di superficie, venne progettato negli anni ’50 del XVII secolo come reclusorio dove rieducare “otiosi e vagabondi” attraverso il lavoro da svolgersi in manifatture poste al suo interno. L’epidemia di tifo esantematico di quegli anni aveva dimostrato, infatti, l’inadeguatezza del lazzaretto della Foce, troppo angusto per prevenire quella promiscuità pericolosa per la salvezza delle anime dei ricoverati. Si era quindi resa necessaria la ricerca di un sito più consono: una deputazione dell’Ufficio dei Poveri a ciò dedicata individuò nella collina di Carbonara la compresenza di tutte le caratteristiche necessarie (salubrità dell’aria, presenza in loco di cave di pietra, relativa lontananza dal centro a cautela dell’ordine pubblico). Il progetto originario, tanto ambizioso da essersi rivelato infine irrealizzabile, prevedeva di utilizzare il modello degli ospedali rinascimentali, ossia un edificio a pianta quadrangolare con al centro una Chiesa a croce greca. La facciata sarebbe stata composta da due torrioni rispettivamente ad Oriente e ad Occidente, e da un corpo centrale più alto, dove si sarebbe aperta la porta principale, sovrastata da un’iscrizione su marmo e da due affreschi: lo stemma della Repubblica e una raffigurazione dell’Immacolata. Se la prima pietra venne posata nel 1655, però, i lavori cominciarono sin da subito ad andare a rilento, con la strumentazione dell’epoca risultò impossibile lo sbancamento ad Ovest del colle e si dovette aspettare sino al 1838 per poter completare il Torrione occidentale e quindi la facciata. Nel frattempo, già nel 1664, vennero accolti i primi poveri e con loro i maestri lanieri per dare il via alla produzione necessaria a realizzare quel progetto di autofinanziamento pensato da coloro che avevano investito nell’edificio: la Repubblica, l’Ufficio dei Poveri e i privati cittadini, tra cui spiccò per la munificenza Emanuele Brignole. Da allora, sino a pochi anni fa, l’edificio ha continuato a servire come nosocomio, conservando quei contrasti tipicamente barocchi che avevano caratterizzato i suoi primi istanti di vita e che ora tra l’incuria e i tentativi di restauro persistono nella coscienza cittadina. I progetti per la costruzione di un polo museale che consenta di preservare il patrimonio artistico e di riunire i suoi fondi documentari si accostano alla volontà di farne un campus universitario, con gli stessi problemi di budget che avevano gravato la sua edificazione.

Gli slogan altisonanti di ieri, scolpiti sopra l’ingresso principale, tradiscono la stessa tensione verso un ideale grandioso che si spera oggi abbia una più compiuta realizzazione.

Auspice Deo

Serenissimo senatu favente

Magistratu pauperum fovente

Montes deiecti vallis coaequata

Fluentum concameratum

Alveus derivantus

Egenis

Collegendis alendis

Opficio pietate instituendes

Aedes extructae

Anno salutis MDCLV.

Bibliografia

  • Antero da S. Bonaventura, Li lazaretti della città e riviere di Genova del MDCLVII, Genova, P. G. Calenzani e G. Meschini, MDCLVIII.
  • Grendi E., Ideologia della carità e società indisciplinata: la costruzione del sistema assistenziale genovese (1470-1670), in Timore e carità. I poveri nell’Italia moderna, a cura di G. Politi-M. Rosa-F. Della Peruta, Cremona, Biblioteca civica, 1982, pp. 59-75.
  • Id., Pauperismo e Albergo dei poveri nella Genova del Seicento, in La repubblica aristocratica dei genovesi, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 227-279.
  • Savelli R., Dalle confraternite allo stato: il sistema assistenziale genovese nel cinquecento, ASLSP, n.s., XXIV, fasc I, 1984, pp. 171-216.